Un fiume in piena. Vincenzo Di Pinto è così, non lo fermi. In gran forma come il primo degli esordienti, sul groppone tanto entusiasmo e voglia di fare, carico come una molla che non vede l’ora di tendersi verso l’alto. Poi guardi il suo curriculum, e ti ricordi chi è e cosa ha fatto. E pensi che Molfetta, questo gruppo di giovanotti che promette di battagliare ogni domenica, non potrebbe essere in mani più sicure. Perché dietro l’entusiasmo c’è il buon senso del navigato lupo di mare. Che invita alla calma. “Il lavoro vada da solo”, dice. Poi vedremo.

E che vada, mister, questo lavoro. Dove ci può portare?
Non lo so e non me lo voglio neanche chiedere. Mi aspetto di lavorare bene con accanto una buonissima società, con dirigenti con cui già mi trovo a meraviglia. Non vedo l’ora di cominciare a studiare i miei giocatori, di vederli sul campo, e soprattutto di vederli crescere.

Di vederli sbocciare. Come sarà lavorare con tutti questi giovani?
È un valore aggiunto, e la società non poteva avere un’idea migliore. I nostri manager si sono posti nel modo giusto di fronte alle difficoltà di questo periodo. Siamo l’unica squadra del Sud, abbiamo una responsabilità. Puntare sui giovani è la soluzione di tutti problemi, non solo di Molfetta, e non solo della pallavolo. Ma di tutta l’Italia.

L’Italia non è che li veda così bene, questi giovani.
Dobbiamo aiutarli a crescere, con lungimiranza. La Pallavolo Molfetta lo sta facendo, e può aiutarci la prospettiva del secondo anno. Poniamo le basi per il futuro, programmiamo le cose con grande coraggio. Il passo più lungo della gamba è solo un passo falso. Questo non vuol dire che non si possa far bene già da questa stagione. Contateci, ci batteremo sempre con grande dignità.

Alle sue spalle avrà il cuore di una grande città.
Molfetta è la tipica squadra pugliese, con gente piena di carattere e di passione. L’ambiente è bellissimo, e per questo mi complimento con società e tifosi. Ogni volta che sono venuto al PalaPoli mi hanno sempre colpito entusiasmo e accoglienza delle squadre avversarie. Mica è dappertutto così.

Parliamo del calendario?
Non è facile dare un giudizio. Generalmente ogni campionato si divide in tre, quattro fasce, e anche questo non fa eccezione. C’è un primo gruppo, molto consistente, di squadre potenzialmente protagoniste. Mi riferisco in primis a Macerata, poi a Piacenza, Modena e Perugia. Ma come fai a non dare il giusto peso a squadre come Trento? E Verona? Senza dimenticare Latina.

Poi?
Poi c’è un altro gruppo, le cui qualità si valuteranno a campionato in corso. Ecco, loro non credo siano molto lontane da noi.

Puntiamo a raggiungerle?
Badiamo a noi stessi, e guardiamo prima in casa nostra. Poi, se verremo fuori alla distanza, saremo stati bravi. Generare aspettative sarebbe pericolosissimo.

La squadra è quasi al completo. Cosa manca?
Un attaccante, uno che contribuisca a finalizzare il lavoro dei compagni. La società sta lavorando benissimo e continuerà a farlo. Mi fido di loro.

E loro si fidano di lei. Ma quante ne ha viste?
Ricordo il Mondiale con la Spagna, per me fu croce e delizia. Delizia per i grandi risultati che raggiungemmo, croce per la rinuncia all’Olimpiade di Sydney, legata a motivi personali. Non posso poi dimenticare Macerata, con cui in due anni ottenni ottimi risultati, arrivando subito in semifinale scudetto. Anche a Perugia ci divertimmo, passando dalla zona retrocessione al quarto posto in un solo anno, vincendo anche la Challenge Cup.

E poi la Puglia. Casa, dolce casa…
Il ciclo con Gioia del Colle me lo porto dentro. Dalla Serie B arrivammo in A2, poi in A1 e qui, da cenerentola designata, diventammo matricola terribile, sfiorando i playoff. Mi piacerebbe ripetere a Molfetta quanto fatto a Gioia. Anche a Taranto fummo protagonisti di una storia simile.

Invece dei suoi giocatori, che ci dice?
Ne ricordo tantissimi, tutti volentieri. Potrei ricordare il gruppo di Perugia, Savani, Sintini, Stokr, Pippi. Ma non voglio fare torto a qualcuno. Sono legatissimo anche ai giocatori che ebbi a Gioia del Colle e Taranto.

Eppure certe parole sono indelebili.
E chi le dimentica. Quelle di Sintini, per esempio, o di Savani o Anderson. Ricordi che mi porto dentro. Così come le parole di Boban Kovac, che mi dedicò la medaglia d’oro olimpica.

Mister, ora faccia sognare Molfetta.
Sogniamo, ma fino a un certo punto. Piedi per terra e tanto lavoro. Lo merita la città, lo merita una società che si è fatta letteralmente in quattro.