L’ex giallorosso dell’anno della prima promozione nella massima serie ricorda “l’incredibile invasione di campo” dopo la gara 3 contro Bolzano e “i festeggiamenti durati tre giorni”.

Il centrale pugliese Piero Spada arrivò nella stagione 2003-2004 a Vibo reduce da un passato importante: ben cinque stagioni a Modena dove ha fatto incetta di titoli: scudetto, Coppa Campioni e due Coppa Italia. Quindi una Coppa Cev e due Supercoppa di cui una a Palermo l’altra con Cuneo. Nato il 9 settembre del 1971 a Fragagnano, in provincia di Taranto, ha militato pure con Gioia del Colle, Napoli, Roma, Taranto, Ancona e ha chiuso a Grottazzolina. Il sestetto delle meraviglie che conquistò la massima serie era formato, tra gli altri, da Michele De Giorgi, William Kirchhein, Fosco Cicola, Fabio Belardi, Antonio Ferraro, Da Silva Axè. Spada fu il quarto realizzatore di squadra di quell’annata con 239 punti.

Dal libro dei suoi ricordi è spuntato fuori il racconto di uno spogliatoio solido che fu il segreto dell’impresa contro Bolzano e di un rapporto magico con i tifosi che sopravvive al passare del tempo. Nel suo futuro c’è un ritorno nel mondo del volley, questa volta come procuratore: “l’allenatore proprio non potrei farlo. Non sono diplomatico, non lo ero già da giocatore”.

Piero che ricordo hai della sua unica stagione giocata a Vibo Valentia?

“Bellissimo, a prescindere da quello che è stato l’epilogo felice, per certi versi prevedibile anche se non scontato e difficile. Alla vigilia del campionato era risaputo che le squadre più forti sulla carta eravamo noi della Callipo e Verona e, quindi, in teoria che avevamo ottime possibilità di essere promossi in A1. In pratica poi è stato così però ci siamo un po’ complicati la vita da soli se penso, ad esempio, alla finalissima con Bolzano. Infatti abbiamo rischiato fino alla fine arrivando a giocare gara-3 in casa e al quinto set dopo essere stati addirittura sotto per 2-0. Ricordo che dopo quel passivo eravamo tutti molto concentrati come a dire “ora o mai più”. C’era una bolgia incredibile ed un caldo impressionante. Diciamo – sorride – che l’abbiamo fatto per il pubblico e per creare suspense. Al di là degli scherzi, alla fine è andata come doveva andare seppur con qualche patema d’animo. Quello, però, che mi è rimasto più impresso è quanto di bello accaduto fuori del campo con la gente di Vibo. Rapporti che ho tuttora: ancora oggi tanti tifosi della Callipo mi scrivono anche sui social e mi invitano a ritornare giù. Purtroppo dopo quell’annata non sono più riuscito ad esaudire quello che era il loro ma anche il mio desiderio: rivedere tanti amici che ho lascialo lì. L’ho promesso a tutti e, prima o poi, verrò a ritrovarli. In quell’avventura era nato un bel rapporto: andavamo anche a cena insieme creando quei legami sinceri e genuini tipici del Sud. Lo so perché anch’io sono del Sud, del Salento, quindi conosco quelle realtà e quando si creano quegli affetti durano poi per tutta la vita”.

Di fatto voi atleti rappresentavate in campo la comunità reale della città dove giocavate, specie in quelle piccole del Sud. Ti ritrovi in questa affermazione?

“Esattamente: si gioca in primis mostrando il proprio valore ma soprattutto l’intento è dare sempre il massimo in campo per non far sfigurare quella città, in questo caso Vibo. Noi in quella stagione conoscevamo un po’ tutti coloro che venivano al palazzetto, quindi era anche un rappresentare quella comunità nel resto d’Italia dove abbiamo giocato”.

Qual era la sensazione nel giocare al Nord dove magari una squadra del Sud non era mai arrivata, c’era del pregiudizio?

“Neanche più di tanto. La Callipo era stata allestita per andare in A1 per cui non dovevamo nasconderci. Obiettivamente sulla carta eravamo solo un gradino sotto Verona, che vinse tutte e 30 le gare, e poi il vuoto. Le avversarie avevano la consapevolezza della nostra forza e l’abbiamo dimostrato perdendo solo sette gare, distanziando la terza, proprio Bolzano, di 12 punti. La cosa che mi ha colpito è che in qualunque città del Nord dove giocavamo c’era sempre qualche tifoso della Callipo. Talvolta partivano dal Sud per sostenerci ma il più delle volte erano studenti fuori sede o vibonesi che ormai si erano stabiliti per lavoro a Padova, Torino, Milano, e venivano a incitarci con tanto di bandiera e maglia della Callipo. Incredibile: sembravano davvero organizzati, forse – sorride – gli spedivano il materiale e sugli spalti si facevano sentire con grande incitamento”.

Quell’anno c’erano, tra gli altri, De Giorgi, Kirchhein, Cicola, Belardi, Tomasello: che aria si respirava nello spogliatoio?

“Con qualcuno avevo già giocato come De Giorgi due anni a Napoli e Cicola a Roma, con qualche altro avevo giocato contro. Quindi lo spogliatoio era solido. De Giorgi, oltre ad essere il capitano, era il più esperto. Era lui il leader per eccellenza. Si era creato un bel gruppo, infatti uscivamo sempre insieme ed eravamo uniti. Di questo va dato merito anche al presidente Callipo che ci è stato molto vicino e al suo staff, sempre presenti in tutto”.

Qualche episodio legato al Presidente Callipo?

“A parte il fatto che era sempre presente, era un signore e l’ho sempre detto a colleghi che magari mi chiedevano informazioni sulla società. Magari qualcuno poteva mostrare qualche resistenza a scendere a Vibo ma io promuovevo sempre la bontà della piazza e lo stesso presidente Callipo sottolineando le sue qualità e la tranquillità della città. Dicevo a tutti che c’era un bel mare e si mangiava benissimo. I riscontri poi, a fine stagione, venivano confermati da chi è passato dalla Tonno Callipo. Inoltro ricordo il presidente – svela compiaciuto Spada – per una canzone che ci ha insegnato, una sorta di ritornello propiziatorio. Una volta ad una cena, forse a Capodanno o Natale non ricordo bene, dopo qualche buon calice, ci insegnò con qualche altro collaboratore questi versi molto originali e stravaganti. Pensate che alla fine l’avevano imparata anche Axè e Kirchhein che erano brasiliani, insomma tutti cantavamo divertiti”.

Avevate qualche rito scaramantico?

“Personalmente no. L’unico particolare in tal senso è che solitamente il primo attacco del match lo faceva sempre Fosco Cicola, lui era il più attaccato alla cabala”.

Invece di quella sera dei festeggiamenti della promozione cosa ricordi?

“Intanto quell’incredibile invasione di campo e sinceramente non so neanche come ho fatto ad arrivare nello spogliatoio. Ci avrò impiegato un’ora per rientrare. Perché in fin dei conti era bello stare lì insieme a tutta quella gente felice ed entusiasta. Ricordo che ci fu un weekend intero di festeggiamenti dalla mattina alla sera per 2-3 giorni. Un po’ come il Carnevale di Rio”.

Dopo quell’anno com’è proseguita la tua carriera?

“Giocai altri 4 anni, quindi la fortuna, ma forse a posteriori no, di trovare subito lavoro e per 7-8 anni ho fatto il responsabile dell’ufficio acquisti di una società di Ravenna (di costruzioni e montaggi industriali) vicino casa mia a Cervia dove vivo ora pur essendo pugliese. Tuttavia, specie in questa quarantena, ho riflettuto. Ammetto che magari per un ex atleta non sia il massimo stare sempre in ufficio. Forse quando ho smesso avrei dovuto prendere un anno sabbatico. Ma non è facile: se sei stato bravo a mettere da parte dei soldi si può pensare a fare poi le cose con calma. Ho visto tanti colleghi che brancolavano nel buio non trovando nulla quando hanno smesso di giocare. Poi c’è chi ha studiato, diplomandosi e laureandosi e ha puntato su quello. È difficile in quei momenti fare delle scelte”.

Quindi ora hai nostalgia del volley?

“Quello è forse il mio cruccio, ma ora sto cercando di recuperare. Mi sarebbe piaciuto rimanere nel mondo del volley perché magari con tutti gli anni di esperienza avrei potuto essere utile a qualche causa. Solo che quando finivo io era il periodo successivo a quello degli anni d’oro, nel senso che non c’erano più grossi sponsor e giravano meno soldi. Qualcosa magari c’era a livello dirigenziale vicino casa ma alla fine non ne valeva la pena. Invece adesso forse ho trovato la strada giusta. L’idea è nata in questo periodo di quarantena: confrontandomi con una mia amica agente di volley sembra poter nascere una collaborazione. L’allenatore proprio non potrei farlo. Non sono diplomatico: non lo ero da giocatore figuriamoci da allenatore. Così proverò questa nuova avventura e vedremo come va in questo campo…”.

Pensi che la crisi derivata dal Coronavirus possa dare una chance in più ai giocatori italiani?

“Sicuramente molte società di prima fascia vorrebbero fare a meno di qualche contratto pesante. Bisognerà vedere se ci riusciranno. Penso alla presidente di Modena che ha ammesso di non riuscire a pagare quegli stipendi a campioni quali Zaytsev e Anderson. Chissà se così facendo ci potrebbero essere più posti per i giovani italiani: da un lato sarebbe anche auspicabile, però dall’altro si rischia di abbassare il livello del campionato che negli ultimi anni è stato definito il più difficile e competitivo del mondo”.

Come vedi la Callipo di oggi?

“Non sono riuscito a vedere proprio Ravenna-Callipo perché ero in Puglia e tra l’altro si è giocato a porte chiuse. Mi è piaciuto molto l’opposto Abouba che doveva fare il secondo ed invece si è imposto per la sua bravura con buoni doti fisiche e tecniche”.

Hai un messaggio, un augurio da fare alla tua Callipo ed ai tifosi?

“Ai tifosi dico che verrò giù in modo da poterli incontrare di persona, li saluto tutti, e così anche mando un abbraccio al presidente Pippo che spero di salutare presto personalmente e a tutti coloro che ruotano attorno alla squadra. Lunga vita alla Callipo”.

UFFICIO COMUNICAZIONE

Rosita Mercatante

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