ROMA – Che i sogni siano desideri non ce lo racconta solo la canzoncina di “Cenerentola”, ma ce lo ha ricordato questa mattina Paolo Tofoli, alla soglia dei suoi “primi” quaranta anni. Tra qualche giorno il compleanno in famiglia, questa mattina il simpatico e interessante amarcord della sua ventennale esperienza, a grandissimo livello, nel mondo della pallavolo. Inutile nasconderlo Tofoli è la vera e autentica icona del volley, l’atleta da cui tutti cercano di rubare con gli occhi i segreti, l’uomo tranquillo, tutta casa e campo a cui i successi ottenuti non hanno mai dato alla testa. Ed è stato un piacere ascoltarlo sotto due ombrelloni dell’Istituto Villa Flaminia, davanti a una torta e le candeline a ricordarcene l’età. Avrebbe potuto essere benissimo una bugia perché il palleggiatore della M. Roma è fisicamente una roccia, con la testa al suo posto e con l’idea di voler continuare a dare spettacolo ancora per molto: «Riporto lo scudetto a Roma e poi smetto».

Una promessa impegnativa con il pensiero ai tanti tifosi del volley che a mala pena riescono a far sentire la loro voce in una città che, come dice Tofoli, «mangia solo di calcio».

L’atleta di Fano ha aperto il cassetto dei ricordi ed è andato a ruota libera tra il silenzio generale perché è sembrato irriverente interrompere il racconto di una vita di successi, di soddisfazioni, di rapporti cordiali e non con tecnici e colleghi e di qualche delusione. Ascoltatelo: «In questa mia longevità sportiva non ci sono segreti. Certo, è difficile mantenere l’attenzione e l’entusiasmo per tanti anni. Bisogna sempre trovare le risorse, gli stimoli, avere sempre un po’ di ambizione, la voglia di vincere. Noi, parlo di quel gruppo che ha fatto la storia della pallavolo italiana, siamo riusciti a ottenere i successi grazie anche alla naturalezza con la quale affrontavamo gli impegni, alla serenità, ma soprattutto alla compattezza che ci portava a giurare alla vigilia di ogni match che, una volta in campo, ci saremmo aiutati e ci saremmo sacrificati. Personalmente ancora adesso ho voglia di allenarmi, di giocare e anche di vincere. Senza questi obiettivi, credo, non sarei un giocatore di quaranta anni. Non voglio neppure sentir parlare di scelte sbagliate: ho sempre ponderato quello che ho fatto. Rifarei tutto dal primo momento, era il 1983 che ho iniziato a giocare al volley».

Tempo di bilanci, di consuntivi, di paragoni. Tofoli non cade nella trappola: «Per me – dice – tre sono stati gli allenatori da cui ho imparato il mestiere. Strategie diverse le loro, caratteri particolari ma importanti, però tre maestri con i rispettivi pregi e difetti: Velasco, Monatali, Prandi. Al primo sono riconoscente perché mi ha prelevato dal club e mi ha portato in Nazionale poco più che ventenne. Mi ha dato fiducia, mi ha caricato di responsabilità. Pensate se non avessimo vinto? Ci avrebbero sotterrati ovunque. Per quanto riguarda Montali, che devo dire? Gli scudetti conquistati a Treviso stanno a confermare la bontà del suo lavoro e l’impegno profuso dal sottoscritto e dai miei compagni. Ogni tanto lo sento, mi fa delle battute sulla Nazionale. Dipendesse da lui, ne sono sicuro, non esiterebbe un solo momento a ridarmi la maglia azzurra. Infine Prandi: lo ho avuto a Padova da giovane, posso di re che è stato determinante per la mia crescita tecnica, per i suoi suggerimenti, per i suoi consigli. Non è un caso che lo chiamino “il professore”. Per me è stato il mio primo e vero insegnate di pallavolo. Certo, con qualche altro allenatore non mi sono preso. Oggi è la mia festa e voglio essere bravo».

Anche su che cosa farà da grande Tofoli è stato abbastanza chiaro: «Io e Massimo Mezzaroma abbiamo fatto una personale scommessa. Qui sono ritornato volentieri perché Roma e ho bei ricordi, ma soprattutto perché mi allettava il progetto. Il campionato è molto agguerrito e non sarà facile realizzarlo in poco tempo. Sono, però, sicuro che nel giro di tre-quattro anni Roma tornerà ai vertici, le basi ci sono, l’entusiasmo non manca. Del resto, io sono stato qui la prima volta nel 1998 e nel 2000 abbiamo vinto lo scudetto. Se, però, mi metto a guardare le prime quattro-cinque giornate, allora mi viene da pensare. Bisogna cominciare dall’abc senza schemi particolari, fare le cose semplici e farle per bene. In futuro, magari, potremmo pensare ad essere spettacolari. Purtroppo, Al problema dell’assemblaggio del gruppo si è aggiunto l’handicap che, fuori i nazionali, non possiamo provare la squadra».

Passato e futuro, ancora nelle considerazioni del palleggiatore capitolino: «Se non avessi giocato a volley, magari avrei un po’ più di pancetta, avrei fatto l’università e, probabilmente, trovato un lavoro normale, magari impiegato di banca, tranquillo nella mia città. Ora sono in ballo e voglio ancora giocare. Deciderò di smettere quando capirò di non stare più in piedi». E allora che cosa ne sarà di Tofoli? Che cosa farà da grande? «Non ci ho ancora pensato. Magari in futuro potrò dedicarmi a fare il dirigente, restare nell’ambiente anche a livello di Federazione. Giorni fa, al presidente Magri, ho fatto una battuta: si è messo a ridere. Se non altro ho provato a metterlo in difficoltà. Intanto, per non farmi cogliere di sorpresa, con alcuni amici di Fano, stiamo mettendo appunto un progetto per la realizzazione di un importante impianto sportivo per il fitness».

Nella testa di Tofoli ci sono sei immagini che il tempo non riesce a cancellare, sono quelle dei migliori pallavolisti italiani degli ultimi vent’anni, lui compreso. L’atleta sciorina i nomi come una litania: «Zorzi come opposto, Bernardi e Cantagalli schiacciatori, Gardini e Lucchetta centrali e, se permettete, il sottoscritto da palleggiatore. Certo, l’identikit è quello della Nazionale che ha vinto tutto ma, se restiamo nell’ambito italiano, devo dire che con questi miei compagni, l’Italia ha avuto in regalo una storia esaltante».

Le ultime considerazioni, dedicate alla Nazionale impegnata nella World League. Sembra quasi che la fiamma del sestetto si sia improvvisamente spenta. Tofoli ha la sua idea, e indica la ricetta giusta perché possa tornare a grandi livelli: «Per me – conclude – non è un problema fisico. È questione di stimoli, c’è un po’ di rilassatezza ed è normale. Hai vinto tanto e qualche volta capita che non sei a mille con la testa. Giochicchi. E prendi le gare con leggerezza. Però, vedrete che a novembre, ai Mondiali, l’Italia sarà ancora la più forte».