“Io l’ho conosciuto bene”. I sessant’anni di Julio Velasco diventano l’occasione per aprire, ancora una volta, un’ampia finestra sulla pallavolo italiana degli anni 90, in cui il coach di La Plata ha lasciato un segno indelebile che ha finito col rivoluzionare un gioco fino ad allora piatto e lineare, portandolo ad essere uno spettacolo di cui la gente ha goduto per tantissimi anni. In quel “io l’ho conosciuto bene” c’è tutta la stima e il rispetto di Andrea Giani, che per il compleanno del suo allenatore non ha altro che parole sincere e delicati attestati di riconoscenza.

“Giulio – dice il tecnico della M.Roma – va collocato tra i più importanti innovatori dello sport, in quanto come allenatore, della pallavolo in particolare, ha saputo distinguersi nel progettare e nel raggiungere i successi. Con lui l’Italia del volley ha vissuto anni stupendi e il lancio definitivo di una disciplina che avanzava lentamente, fino a diventare un fiore all’occhiello delle città in cui si giocava e dell’Italia che assisteva alle prestazioni degli atleti”.

Quattro scudetti di seguito con Modena, tre Coppe Italia con la stessa formazione, una Coppa delle Coppe hanno fatto da battistrada, dal 1985 al 1989, a tutto il fragore che avrebbe successivamente scatenato la Nazionale. “Anche in quel caso – continua Giani – Velasco seppe progettare in maniera capillare il lavoro dei suoi ragazzi, ricordando loro che le potenzialità c’erano e che bastava saperlo per tirarle fuori. Ricordo la riunione che abbiamo fatto, alla prima convocazione in maglia azzurra. Julio si è accostato alla squadra e, in maniera molto pacata, ha detto: “Questo è un gruppo che non deve assolutamente ripartire da zero, come è stato fatto negli ultimi anni. Dovete soltanto imparare a vincere. Dovete affrontare gli allenamenti con la mentalità vincente”. Ci ha stimolati – continua Giani – parlandoci e, soprattutto, ricordandoci che per raggiungere un obiettivo devi sudare 250 camicie”.

La filosofia di Velasco, nel racconto di chi lo ha avuto come allenatore, è stata chiara e lineare fin da subito. “Julio, da ottimo psicologo, sin dall’inizio, si soffermava ad analizzare le caratteristiche psico-fisiche dei suoi giocatori, cercando, con un lavoro ovviamente appropriato, di tirar fuori il massimo da ognuno di noi, perché potessimo diventare forti sotto l’aspetto atletico e grandi sotto quello tecnico. Il mio grazie – continua l’allenatore della M.Roma – va soprattutto a tre coach: Skiba, Velasco e Bebeto. Ciascuno di loro ha inciso in maniera particolare nella crescita e nella divulgazione diversa nella pallavolo italiana. Da ciascuno abbiamo appreso cose diverse, ma estremamente utili per poter continuare a giocare e per chi si è dedicato successivamente ad allenare”.

La riconoscenza, come detto, è grandissima. Il grazie di cuore è doveroso. “Perché a Julio va riconosciuto non soltanto quello che ha saputo costruire, ma soprattutto quello che è rimasto in noi per continuare a vincere, quando lui non ha più allenato la Nazionale. Abbiamo fatto nostro il suo modus operandi. Noi con lui eravamo una Ferrari e Ferrari siamo rimasti anche dopo”.
A Giani non piace voltarsi indietro e guardare al passato. “Lo so – dice – che qualcuno ha sostenuto che se non si hanno ricordi, non si ha futuro. Io non sono abituato a guardare a quello che è stato. Un allenatore deve soprattutto guardare a quello che potrà essere. Semmai i ricordi servono per mettere i pezzi e le basi per il futuro”.

Doveroso, in ultimo, l’augurio al vate argentino. “Gli telefonerò – conclude – e adesso gli mando un forte abbraccio per questi sessant’anni vissuti intensamente. Julio, ti devo molto, quello che ho imparato nella metodologia è venuto dal tuo modo di far giocare le squadre. Grazie”.