La chiesa parrocchiale di Taglio di Po non ce la fa proprio ad accogliere tutti coloro che hanno voluto dire addio a Vigor. Ma non basterebbe neppure San Pietro, perché tutto il villaggio globale della pallavolo si è dato appuntamento qui. Tacitamente, dolorosamente. Per fortuna la cupola della chiesa rodigina è bella alta, perché all’interno la statura media è molto vicina ai due metri. Ci sono decine e decine di giganti, provenienti da tutta Italia ed accomunati dal dolore e dagli occhi lucidi. C’è Andrea Giani che preferisce restare in disparte e trattiene le lacrime e fatica, chiuso nel suo dolore privato. Poco più avanti c’è Marco Bracci, pietrificato dagli eventi proprio come Fabio Vullo, che ha l’espressione dolente di chi non vuole ancora crederci e poi, siccome è stato sempre un passo avanti a tutti, come atleta e come uomo, all’esterno della chiesa lamenta con Luca Casadio l’insensibilità del suo comune, Massa Carrara, alla sua battaglia avviata da tempo per rendere più sicuri tutti gli impianti sportivi dotandoli di defibrillatori. C’è Zorro, con il look ormai consolidato che lo fa assomigliare ad un santone capace di infondere nel cuore di tutti serenità e saggezza, doti assolutamente necessarie in circostanze di questo genere. Poi ci sono Giuseppe Brusi, che ha perso uno dei suoi figliocci prediletti, e ancora Julio Velasco, Carlo Magri ed Andrea Anastasi, i vertici della Lega, oltre a Cantagalli. Tofoli ed a Lollo Bernardi, che abbraccia il Gardo e non si vergogna di piangere in presa diretta, proprio all’uscita della chiesa. E ci sono Pasquale Gravina e Roberto Masciarelli, poi ancora i primi compagni di squadra di Bovo: Daniele Ricci, Venturi, Margutti e Fangareggi. Non poteva certo mancare la Cmc Robur, con Casadio, Badiali, la dirigenza, poi il Bab, Pascucci ed i giocatori: perché chi ha raccolto l’eredità di Bovo nella massima serie non poteva non essere qui ad omaggiare un uomo, prima ancora che un atleta, che per molti ha rappresentato un modello da provare ad imitare. Poi, ancora, Cisolla, Meoni, Savani, Fei, Sala, poi tutti i ragazzi di Forlì che soltanto sabato scorso sono partiti in pullman con Bovo. Per l’ultima volta. E poi, a sorreggere la bara con l’anima a pezzi, gli amici di sempre: Zlatanov, che ha la faccia di uno che non dorme da sabato notte, Giombini, tronco imponente piegato improvvisamente in due dal dolore, e ancora Papi e Rosalba, gente che ogni maledetta domenica schiaccia ancora in testa ad avversari che hanno 20 anni in meno ma che questa volta, solo per questa volta, dimostrano improvvisamente 10 primavere in più. Poi arrivano le parole toccanti e perfette di Federica, che ha parlato ad amici e semplici conoscenti con un sorriso che ha momentaneamente alleviato il dolore di tutti e ritrovando in un attimo quella sfrontata positività che ne ha caratterizzato la carriera da palleggiatrice e che, da ora in avanti, dovrà per forza motivarla nella crescita di quattro figli. Fuori, la primavera che Vigor non potrà godersi è già esplosa in riva al Po, e accoglie la lunga trafila verso il cimitero di Taglio di Po, che in un mercoledì qualunque di fine marzo si è chiusa nel proprio lutto cittadino ma poi ha dovuto per forza aprire la porta ad un interminabile corteo dolente, perché dopo tutto Vigor lo meritava. Quando tutto è finito, rientrando alle auto ed ai pullman, è inevitabile sfilare in mezzo a negozi, case e giardini dai quali spunta, in formato A4, il viso inconfondibile di Bovo, accompagnato dalla scritta “Ciao Vigor”. Il campione saluta, con la mano aperta, e sorride. Perdonaci tanto, Bovo, se non riusciamo proprio a fare altrettanto.